La gestione attiva del portafoglio torna ad essere necessaria. Non è più tempo di soluzioni standardizzate per tutti, come negli anni pre-pandemia.
Dopo tanti anni è tornata l’inflazione. Ed è qui per restare. Le banche centrali, compiendo un errore storico, che sarà studiato nei futuri manuali di macroeconomia monetaria, si sono ritrovate in grave ritardo (o come si dice in gergo “behind the curve”) nell’implementare le necessarie politiche restrittive. Ad oggi, l'inflazione sia pure in leggero rallentamento, sembra faccia molta fatica a tornare ai livelli obiettivo (“sticky inflation”). Quanto impatterà quindi sul rallentamento economico? Lo scopriremo nei prossimi mesi, ma purtroppo temiamo non poco.
La curva dei rendimenti americani parla chiaro
I tassi sui Fed Fund si trovano ora nel corridoio 4,75% - 5% e il mercato sconta un tasso terminale intorno al 5,25-5,5%, segnalando un solo altro rialzo (ma da qualche giorno si fa avanti la probabilità di altri due rialzi, come ormai avviene da mesi). La Federal Reserve controlla la porzione a breve della curva, e i tassi a tre mesi sono leggermente aumentati, ma il mercato controlla i tassi a dieci anni, che si collocano intorno al 3,60%. La curva è quindi fortemente invertita. Storicamente, quando la curva dei rendimenti si inverte in questo modo, l'economia rallenta in maniera significativa o entra in recessione.
L'importanza della gestione attiva oggi
Nonostante i molti segnali di recessione, gli asset azionari sembrano pensarla diversamente. Guardando alle previsioni di consenso sugli utili, le aspettative, pur essendo in calo del 2-5%, non sono compatibili con una tipica recessione, che vorrebbe un calo di almeno il 10-30%. In un ciclo tradizionale, di solito i mercati azionari toccano un minimo solo dopo il minimo degli utili societari. Le aziende starebbero quindi suggerendo di essere in grado di proteggere i margini nonostante il probabile rallentamento dell'economia. Tuttavia, è probabile che le imprese non sappiano realmente che aspetto assumerà la crescita e, in prospettiva, gli utili potrebbero non aver ancora toccato il fondo. Questo ciclo sarà diverso da quello che lo ha preceduto, e per questo motivo creerà un contesto in cui la gestione attiva farà la differenza. Decenni di tassi d'interesse in calo hanno sospinto in maniera artificiosa utili e profitti. La quota del lavoro sul prodotto interno lordo (PIL) è diminuita e gli investimenti sono crollati. Questi fattori hanno contribuito ad accrescere i margini, che restano vicini ai massimi storici.
Lo scenario degli ultimi 10-12 anni si è invertito. Come già detto più volte su queste pagine, l'inflazione sarà più elevata per lungo tempo e le banche centrali non saranno in grado di abbassare i tassi come previsto. Forti degli insegnamenti tratti dalla pandemia, le aziende stanno rimpatriando le catene di fornitura, e ciò creerà costi aggiuntivi. Ci vorranno anni.
Dopo la crisi finanziaria globale, la spesa per investimenti è stata dirottata su dividendi, buyback e asset intangibili. Anche le riduzioni delle emissioni di CO2 e tutti gli altri necessari investimenti in ESG potrebbero inizialmente penalizzare i margini. Perciò, i costi aziendali potrebbero aumentare molto e i picchi dei multipli e dei margini aziendali potrebbero essere ormai molto diversi rispetto al passato. Anche per questo motivo la gestione attiva può fare la differenza nella gestione di un portafoglio, in quanto riesce a individuare le aziende con un solido posizionamento competitivo, pricing power e cash flow in grado di fornire una parziale protezione degli utili. Non è più tempo di “pesca a strascico” come nel decennio precedente la pandemia.
Volatilità e dispersione: un'opportunità per i gestori attivi
Veniamo da un contesto in cui le banche centrali hanno azzerato i tassi e soppresso la volatilità. Ogni volta che succedeva qualcosa di pericoloso, la Fed interveniva e forniva liquidità. Quei tempi sono finiti, non sono più sostenibili (per lo meno non nelle dimensioni viste finora): quindi oggi si prospetta necessariamente una volatilità più elevata, che darà luogo a una significativa dispersione lungo la curva di distribuzione, e dunque anche a grandi opportunità per i gestori attivi. L'era del Beta a buon mercato nella gestione passiva è ormai storia. La differenziazione conta, e conterà sempre più. Oggi abbiamo un sovraccarico di informazioni, e la capacità di escludere il rumore di fondo di breve termine e di individuare le leve del valore a lungo termine è un chiaro vantaggio.
Il mercato sta tornando a valutare le aziende sulla base dei cash flow. In retrospettiva, molte società a bassa capitalizzazione – le cosiddette "società zombie" – non hanno prodotto cash flow operativi sufficienti a ripianare i propri debiti. Queste aziende avrebbero dovuto essere estromesse dal sistema, consentendo a quelle più sane di esercitare il loro pricing power. Sono queste le imprese con le maggiori probabilità di successo. È questo che i gestori attivi sono in grado di fare: individuare e investire in queste società per generare rendimenti corretti per il rischio per i clienti.
Asset allocation attiva
Questa opzione è dunque di nuovo valida. L'attuale contesto è decisamente più favorevole rispetto all'ultimo decennio. Anche la liquidità ha un rendimento. I mercati obbligazionari offrono performance discrete, ed è possibile costruire una asset allocation che abbia senso. Quando i tassi erano a zero e la volatilità era bassa, questo non era possibile, essendo tutta sbilanciata sull’azionario ed appiattita geograficamente senza distinzioni che tenessero conto del rischio geopolitico oggi molto presente. Oggi invece ha senso investire nelle obbligazioni societarie investment grade, che offrono un rendimento interessante con uno spread ragionevole per il rischio di credito e geografico, e dunque una performance potenzialmente discreta lungo l'intero ciclo.
A ulteriore dimostrazione di questo fatto, anche il recente sviluppo degli ETF attivi. L’era della gestione (e della consulenza) attiva è tornata più necessaria che mai, e le soluzioni prefabbricate dei portafogli modello, proposte fino a poco tempo fa (in realtà ancora oggi) dall’industria bancaria non hanno più senso (se mai ne hanno avuto).
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